“Perché mio figlio non può dormire insieme a me”?
Questa è la prima domanda che i genitori non collocatari, figura che spesso coincide con quella dei padri, rivolgono agli avvocati in casi di separazione con presenza di figli piccoli.
Nel rispondere a questa domanda un avvocato non può che riferirsi alla prassi giurisprudenziale ed all’interesse prioritario dei figli, ma in pratica esistono anche altri interessi in gioco:
- il timore delle madri relativo all’adeguatezza di padri non sempre avvezzi a trattare figli piccoli o piccolissimi;
- l’interesse dei padri ad essere partecipi della vita dei figli;
- l’esigenza dei figli di avere un rapporto continuativo con le mamme specialmente in un periodo delicato come ad esempio l’allattamento;
- giudici, nel tentativo di tutelare l’interesse primario dei minori, hanno stabilito degli “spartiacque” consentendo il pernottamento con il genitore non collocatario a partire da una certa età e comunque in maniera graduale (esistono sentenze della Corte di Cassazione che hanno stabilito possibilità a partire dai 4 anni).
Tuttavia, il cambiamento di usi ed abitudini sociali ha indotto il legislatore ad introdurre principi nuovi ai quali la giurisprudenza ha dovuto adeguarsi. Il perseguimento del “superiore interesse del fanciullo”, quindi, è stato fatto coincidere con il costante rafforzamento della bigenitorialità fondata sul principio della “parità di idoneità genitoriale” da realizzarsi con la corretta e imparziale applicazione della legge e il superamento di ogni pregiudizio di sorta o di tradizionali preferenze tra genitori.
Interesse del minore e bigenitorialità
Così, in tale specifico ambito, il riferimento principale è diventato l’art. 337-ter del codice civile secondo il quale “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale… Il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.
In questo senso, la grande evoluzione del diritto arriva a presupporre, garantendolo, l’equilibrio tra l’interesse primario del minore e il suo diritto alla piena bigenitorialità che si realizza anche attraverso il riconoscimento di tempistiche di frequentazione con il genitore non convivente sufficientemente ampie e regolari.
In termini assoluti e in certe fasi della vita del minore è difficile che possa esserci un bilanciamento perfetto della tempistica attribuita ai due ex coniugi, come ad esempio accade nel periodo di allattamento.
Tuttavia, un percorso è tracciato: ovvero l’obiettivo di garantire la giusta continuità della relazione con il genitore non convivente, anche per preparare il bambino ad “abbandonare” il nido o a staccarsi dalla madre. Naturalmente toccherà al giudice valutare caso per caso tutte le opportunità e l’idoneità genitoriale.
Un traguardo importante che denota come non esista un’età più o meno giusta per un rapporto più stretto tra il bambino e l’altro genitore, ma solo le capacità di quest’ultimo di prendersene cura in base alle proprie predisposizioni e abitudini.
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