“Rivoluzione” giuridica e libertà dei tribunali
Da ben 4 anni abbiamo assistito ad una svolta epocale nell’ambito del diritto di famiglia tramite la celebre sentenza della Cassazione 11504/2017 per cui, nello specifico della quantificazione dell’assegno di divorzio, non si doveva più tener conto del parametro del tenore di vita familiare dovendosi piuttosto dimostrare 1) di non essere autosufficienti; 2) di non esserlo a causa di scelte familiari.
Una decisione che, dopo oltre 30 anni di consuetudine in materia, ha accantonato il criterio del tenore di vita matrimoniale in virtù del quale si stabilivano il riconoscimento e l’entità dell’assegno stesso sostituendolo con la valutazione dell’autosufficienza. Ovvero, come precisato letteralmente, è compito dell’ex coniuge che chiede l’assegno “allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive”; fermo restando, ovviamente, “il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro ex coniuge” al quale l’assegno è richiesto. In caso di contestazione sarà, dunque, facoltà del giudice di disporre indagini anche con l’ausilio della polizia tributaria.
Abbiamo tuttavia avvertito per tempo che la sentenza non faceva venir meno il principio della “solidarietà economica” nei confronti del coniuge più debole. Soprattutto abbiamo evidenziato come il sistema giuridico italiano assicuri ai giudici la piena autonomia e libertà nel giudicare essendo liberi di aderire o meno all’indirizzo dettato dalla sentenza di cui si discute.
Peraltro, la sentenza in questione si riferisce al solo assegno divorzile e non anche al mantenimento fissato in sede di separazione. Ciò significa che ogni tribunale può decidere di aderire caso per caso, valutando un numero elevato di variabili e circostanze da tenere in debito conto prima di negare l’assegno.
La stessa Corte di Cassazione, infatti – alla luce di molti contrasti giurisprudenziali – è nuovamente intervenuta a Sezioni unite nel 2018 con la sentenza 18287 affermando che “la sussistenza del diritto all’assegno di divorzio va valutata in base ad un criterio composito che tenga anche conto del tenore di vita goduto durante il matrimonio”. Ovvero l’assegno di divorzio assume una natura assistenziale, compensativa e perequativa.
Pertanto, non è stato cancellato del tutto il parametro del tenore di vita ma si è prevista una “protezione” più adeguata all’ex coniuge che, di comune accordo con l’altro coniuge, ha contribuito alla conduzione della vita familiare con il lavoro domestico, rinunciando ad una posizione lavorativa per occuparsi della famiglia.
Il caso
Ecco un esempio di quanto affermiamo con la recente sentenza della Cassazione, 21504/2021, con cui si è determinato nella somma di 4000 euro l’importo dell’assegno di mantenimento a carico di un ex marito in quanto “pur rilevando che la notevole disponibilità economica non costituiva un automatismo argomentativo sufficiente per giustificare l’aumento richiesto, dalle risultanze istruttorie emergeva la notevole capacità economica del marito che, tenuto conto degli anni di convivenza matrimoniale, giustificava l’aumento dell’assegno nella somma di euro….”.
Tradotto: se la condizione economica dell’ex coniuge è elevata si giustifica la conferma del parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Ciò seguendo l’orientamento per il quale “la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i ‘redditi adeguati’ cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale”.
Riferimento normativo
La questione posta non rappresenta in sé una contraddizione perché resta il valore generale della sentenza 11504, ovvero l’aver tracciato un orizzonte verso una maggiore parità di diritti e doveri, che deve esplicarsi giuridicamente nella dimostrazione della propria effettiva debolezza.
Allo stesso tempo, senza i radicati pregiudizi di un tempo ma ruotando sul caso per caso, resta quanto previsto dalla legge con l’art. 156 del codice civile sugli “Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi”: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’articolo 155. In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto”
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